24/05/2025
La recente Circolare n. 10/2025 del Ministero del Lavoro ha fornito un importante chiarimento in materia di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato non stagionale, introducendo una significativa semplificazione procedurale.
PRESUPPOSTI PER LA CONVERSIONE:
1. Requisiti fondamentali (art. 24, comma 10, D.Lgs. 286/1998):
- Svolgimento di regolare attività lavorativa stagionale per almeno 3 mesi
- Offerta di un contratto di lavoro subordinato (a tempo determinato o indeterminato)
- Disponibilità di quote nell'ambito del decreto flussi
2. Specificità per il *settore agricolo*:
- Necessaria una prestazione lavorativa media di almeno 13 giorni mensili nei tre mesi lavorativi (totale 39 giornate)
- Copertura con regolare contribuzione previdenziale
NOVITÀ PRINCIPALE:
È ora possibile avviare l'attività lavorativa subordinata non stagionale *anche prima della convocazione presso lo Sportello Unico per l'Immigrazione*, nelle more della domanda di conversione.
PROCEDURA OPERATIVA:
1. Presentazione della domanda di conversione
2. Rilascio della ricevuta dallo Sportello Unico
3. Possibilità immediata di:
- Inviare il modello Unilav per contratti subordinati
- Trasmettere la denuncia INPS per lavoro domestico
ASPETTI RILEVANTI:
Come confermato dalla giurisprudenza (TAR Lombardia n. 755/2024), *non è previsto un termine perentorio per la presentazione dell'istanza di conversione*. L'eventuale scadenza del permesso stagionale non preclude la possibilità di conversione, dovendo l'amministrazione valutare la sussistenza dei requisiti sostanziali al momento della decisione.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
Può la malattia giustificare il rinvio dell’incontro per la presentazione delle giustificazioni orali?
Il Tribunale di Varese, con sentenza n. 59 del 2024, ha stabilito, in conformità all’orientamento della Cassazione, che nella procedura di contestazione di addebito, nella quale il lavoratore ha chiesto di poter presentare le sue giustificazioni in forma orale “la mera allegazione, da parte del lavoratore, ancorché certificata, della condizione di malattia non può essere ragione di per sé sola sufficiente a giustificarne l'impossibilità di presenziare all'audizione personale richiesta, occorrendo che egli ne deduca la natura ostativa all'allontanamento fisico da casa (o dal luogo di cura), così che il suo differimento a una nuova data di audizione personale costituisca effettiva esigenza difensiva non altrimenti tutelabile”.
Con riferimento al procedimento disciplinare può rilevare anche il luogo ove tali giustificazioni possono essere rese: di regola l’azienda può chiedere che le stesse vengano rese presso la sede dell’azienda.
Il Tribunale di Milano con sentenza 10.12.2006 ha, tuttavia, chiarito che: “Comprime in maniera illegittima il diritto di difesa del lavoratore soggetto a procedimento disciplinare - e ancor più il diritto del sindacato di svolgere liberamente la propria attività sindacale, che si estrinseca anche nell'assistenza del lavoratore che deve rendere le proprie giustificazioni - la richiesta della società di sentire il lavoratore in una sede che dista oltre 500 Km. dal luogo dove il dipendente svolge la propria prestazione”.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
(Nota INL n. 616 del 3 aprile 2025)
Il TFR è una somma accantonata mensilmente dal datore di lavoro per garantire al lavoratore un supporto economico al termine del rapporto.
La nota ricorda che è consentito, *per il periodo successivo a giugno 2018*:
• Anticipazione dell'accantonamento già maturato al momento della richiesta
• Anticipazioni nei soli casi previsti dall'art. 2120 c.c.
• Condizioni migliorative previste da contratti collettivi o individuali.
Questa ultima possibilità solo sull'accantonato però.
Per gli accordi individuali non è sufficiente un accordo tra le parti circa il pagamento mensile del TFR inserito magari nel contratto di assunzione, somma che costituirebbe una mera integrazione retributiva con conseguenti ricadute anche sul piano contributivo.
Con accordo indivuala è possibile solo una anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione in ipotesi diverse ed ulteriori rispetto a quelle previste dal CCNL.
Non è quindi consentito:
• Automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile
• Erogazione continuativa e regolare del TFR.
In caso di violazioni della disciplina sul pagamento del TFR accade:
1.Riqualificazione degli importi:
- Considerati come normale retribuzione
- Assoggettamento a contribuzione previdenziale e assistenziale
2. Rischi per il datore di lavoro:
- Obbligo di versamento contributi
- Possibile doppio pagamento del TFR
- Disposizioni da parte degli ispettori del lavoro
3. Diritti del lavoratore:
- Può richiedere comunque il TFR alla fine del rapporto
- Mantiene il diritto all'accantonamento ex art. 2120 c.c.
In caso di irregolarità, gli ispettori:
• Intimano l'accantonamento delle quote illegittimamente anticipate
• Adottano provvedimento di disposizione (art. 14 D.Lgs. 124/2004)
Azienda con più di 50 dipendenti.
• Obbligo di versamento TFR al Fondo Tesoreria INPS
• Il versamento ha natura di contribuzione previdenziale
• Si applica il regime di indisponibilità proprio della contribuzione previdenziale.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
Con ordinanza n. 10730 del 23.04.2025 la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui il datore di lavoro è tenuto ad evitare situazioni stressogene che possano causare danni alla salute psicofisica del lavoratore, *anche in assenza di uno specifico intento persecutorio*.
La pronuncia riconosce la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. anche quando il datore di lavoro consenta, pure solo colposamente, il mantenersi di un ambiente di lavoro stressogeno fonte di danno alla salute dei dipendenti.
Nel caso specifico, la Suprema Corte ha censurato la decisione della Corte d'Appello che aveva rigettato la domanda risarcitoria di una lavoratrice per il solo fatto di non aver riscontrato gli estremi del mobbing, *senza verificare se il sovraccarico di lavoro lamentato e la mancata formazione potessero comunque integrare una violazione dell'obbligo di tutela dell'integrità psicofisica del lavoratore*.
Secondo i Giudici, il datore di lavoro deve evitare situazioni che per caratteristiche, *gravità, frustrazione personale o professionale possano presuntivamente condurre ad un danno*, anche in caso di mancata prova di un preciso intento persecutorio.
La sentenza conferma quindi che anche il sovraccarico di lavoro, se non adeguatamente gestito e supportato da idonea formazione, può integrare una violazione dell'art. 2087 c.c. e fondare il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla sussistenza di un disegno vessatorio unitario.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
Il tema della retribuibilità delle ore di viaggio nel rapporto di lavoro è particolarmente delicato e merita un'analisi approfondita alla luce della più recente giurisprudenza.
Il principio generale è che il tempo di viaggio dalla propria abitazione al luogo di lavoro non costituisce orario di lavoro e non è retribuibile, in quanto rientra nella normale mobilità del lavoratore.
Tuttavia, esistono diverse situazioni che fanno eccezione a questa regola.
1. Tecnici "on field" e trasfertisti
Per i tecnici esterni che si spostano dalla sede aziendale al primo cliente e dall'ultimo cliente alla sede aziendale, il tempo di viaggio costituisce orario di lavoro effettivo che deve essere retribuito. Questo perché tali spostamenti sono:
- Eterodiretto dal datore di lavoro
- Strettamente funzionale alla prestazione lavorativa
- Svolto sotto il controllo aziendale (es. tramite sistemi di geolocalizzazione)
2. Spostamenti tra sedi aziendali diverse
Il tempo impiegato per raggiungere una diversa sede di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria quando lo spostamento è funzionale rispetto alla prestazione. In particolare, va computato nell'orario:
- Il tempo per raggiungere la postazione dopo l'ingresso in azienda
- Il tempo per le operazioni preliminari obbligatorie (login, etc.)
- Ogni attività prodromica necessaria allo svolgimento delle mansioni
3. Trasferte e viaggi comandati
Nel caso di "viaggi comandati", ovvero spostamenti inevitabili derivanti da disposizione aziendale:
- Il tempo va computato come lavoro effettivo nella misura del 50%
- Non rileva il mezzo utilizzato (aziendale o proprio)
- È sufficiente la non coincidenza tra luogo di inizio e fine turno per esigenze aziendali
4. Nullità delle clausole limitative
Sono nulle le clausole degli accordi collettivi che prevedono "franchigie temporali" entro le quali gli spostamenti non vengono retribuiti, in quanto:
- Contrastano con la nozione imperativa di orario di lavoro ex art. 1 D.Lgs. 66/2003
- La nullità opera automaticamente ex art. 1339 c.c.
- Non si estende all'intero accordo ma solo alla clausola illegittima
5. Onere della prova
Per ottenere il riconoscimento delle differenze retributive:
- Il lavoratore deve provare specificamente l'entità della prestazione
- Non sono sufficienti allegazioni generiche sui tempi minimi
- Possono essere utilizzati i dati di geolocalizzazione aziendale
In conclusione, la retribuibilità delle ore di viaggio dipende dalle concrete modalità di svolgimento degli spostamenti e dal loro collegamento funzionale con la prestazione lavorativa. La giurisprudenza più recente tende ad ampliare le tutele per i lavoratori, specialmente quando gli spostamenti sono necessari ed eterodiretti dall'azienda.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
L’ Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha comminato una sanzione di 50.000 € a un’ azienda che rilevava la posizione geografica di circa 100 dipendenti durante l’attività lavorativa svolta in smart working.
Dall’istruttoria, che ha portato all’adozione del provvedimento n. 135/2025, è emerso che l'azienda effettuava un monitoraggio dei propri dipendenti per verificare l'esatta corrispondenza tra la posizione geografica in cui si trovavano e l'indirizzo dichiarato, sulla base di specifiche procedure di controllo, pattuite con le rappresentanze sindacali aziendali, e richiamate nell’accordo individuale.
In particolare, il personale, scelto a campione, veniva contattato telefonicamente dall’Ufficio controlli con la richiesta di attivare la geolocalizzazione del pc o dello smartphone, effettuando una timbratura con un’apposita applicazione, dichiarando subito dopo, tramite un’e-mail e previo consenso, il luogo in cui in quel preciso momento si trovava fisicamente.
A tale richiesta, seguivano poi verifiche a campione nelle fasce orarie di reperibilità , e procedimenti disciplinari in caso di discordanza tra l’ubicazione dichiarata e la geolocalizzazione accertata nell’espletamento delle verifiche.
Anche in caso di svolgimento della prestazione in modalità agile – ricorda il Garante - l’ impiego di strumenti tecnologici da parte del datore di lavoro, dai quali derivi la possibilità di controllare a distanza l’attività lavorativa, impone le medesime cautele previste in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro.
Ai sensi dell’ art. 4, Legge 300/1970, l’utilizzo di tali strumenti può avvenire esclusivamente per il perseguimento delle tassative finalità previste dalla Legge, ossia “… per esigenze organizzative produttive, per la sicurezza sul lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale “ nel rispetto delle garanzie procedurali ivi stabilite.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 13050 del 16 maggio 2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di patti di non concorrenza: i limiti territoriali, di oggetto e di tempo devono essere determinati o quantomeno determinabili sin dal momento della conclusione del negozio giuridico.
Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d'Appello che aveva ritenuto valido un patto di non concorrenza il cui ambito territoriale era suscettibile di *modifica unilaterale da parte del datore di lavoro.*
In particolare, il patto prevedeva che, in caso di trasferimento del lavoratore disposto da meno di un anno alla data di cessazione del rapporto, all'area della Regione di ubicazione della sede di lavoro si sarebbe aggiunta anche l'area della "regione diversa precedente".
La Cassazione ha evidenziato come tale previsione violi l'art. 2125 c.c., che richiede la determinatezza o determinabilità dei limiti del patto al momento della sua stipula.
La ratio della disposizione, infatti, è quella di consentire al lavoratore di avere "sicura contezza, fin dall'assunzione dell'impegno, della area geografica in relazione alla quale si esplicherà il vincolo, per assumere le determinazioni più opportune sulle scelte lavorative".
La sentenza ribadisce quindi che la validità del patto di non concorrenza richiede una *chiara e preventiva definizione dei suoi limiti*, non potendo questi essere soggetti a successive modifiche unilaterali che renderebbero incerta e imprevedibile la portata del vincolo per il lavoratore. La violazione di tale principio comporta la nullità dell'intero patto, non essendo applicabile in questi casi la disciplina generale della nullità parziale ex art. 1419 c.c.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
La recente Circolare n. 10/2025 del Ministero del Lavoro ha fornito un importante chiarimento in materia di conversione del permesso di soggiorno da lavoro stagionale a lavoro subordinato non stagionale, introducendo una significativa semplificazione procedurale.
PRESUPPOSTI PER LA CONVERSIONE:
1. Requisiti fondamentali (art. 24, comma 10, D.Lgs. 286/1998):
- Svolgimento di regolare attività lavorativa stagionale per almeno 3 mesi
- Offerta di un contratto di lavoro subordinato (a tempo determinato o indeterminato)
- Disponibilità di quote nell'ambito del decreto flussi
2. Specificità per il settore agricolo:
- Necessaria una prestazione lavorativa media di almeno 13 giorni mensili nei tre mesi lavorativi (totale 39 giornate)
- Copertura con regolare contribuzione previdenziale
NOVITÀ PRINCIPALE:
È ora possibile avviare l'attività lavorativa subordinata non stagionale anche prima della convocazione presso lo Sportello Unico per l'Immigrazione, nelle more della domanda di conversione. Tale possibilità si fonda su:
- Principio di eguaglianza (art. 24 T.U.I.)
- Diritto al lavoro costituzionalmente garantito
- Principio di ragionevolezza amministrativa
PROCEDURA OPERATIVA:
1. Presentazione della domanda di conversione
2. Rilascio della ricevuta dallo Sportello Unico
3. Possibilità immediata di:
- Inviare il modello Unilav per contratti subordinati
- Trasmettere la denuncia INPS per lavoro domestico
ASPETTI RILEVANTI:
Come confermato dalla giurisprudenza (TAR Lombardia n. 755/2024), non è previsto un termine perentorio per la presentazione dell'istanza di conversione. L'eventuale scadenza del permesso stagionale non preclude la possibilità di conversione, dovendo l'amministrazione valutare la sussistenza dei requisiti sostanziali al momento della decisione.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
Il Tribunale di Treviso, con la sentenza n. 333 del 30 aprile 2025, ha affrontato un importante caso in materia di *licenziamento per mancato superamento del periodo di prova*, fornendo rilevanti chiarimenti sui requisiti di validità del patto di prova e sulle conseguenze della sua invalidità.
Nel caso deciso, il Tribunale ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento intimato per mancato superamento del periodo di prova, ritenendo insussistente e comunque invalido il patto di prova invocato dal datore di lavoro in quanto il patto di prova era contenuto nella sola lettera di impegno all'assunzione.
Il Tribunale ha stabilito che *non può attribuirsi alcuna validità ed efficacia al patto contenuto nella dichiarazione di impegno all'assunzione*, poiché in essa non erano specificate le mansioni che il lavoratore avrebbe dovuto svolgere durante la prova.
Le conseguenze dell'illegittimità del licenziamento sono, secondo il Tribunale, solo quelle indennitarie previste dall’art. art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 23/2015, in quanto il recesso ad nutum intimato in assenza di un valido patto di prova non è radicalmente nullo per carenza di potere in capo al datore di lavoro, ma configura un *licenziamento illegittimo* in quanto non riconducibile ad alcuna delle causali tipiche previste dalla leggo.
Il Tribunale ha quindi dichiarato estinto il rapporto di lavoro alla data del recesso e condannato il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a *6 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento*, considerata l'esiguità del periodo lavorato.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
Con la recente Ordinanza n. 9286/2025, la Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la sede aziendale non può essere considerata "protetta" ai fini della conciliazione sindacale, anche in presenza di un rappresentante sindacale che fornisce effettiva assistenza
La Suprema Corte chiarisce che manca quel requisito essenziale di neutralità necessario per garantire la libera determinazione della volontà del lavoratore. L'assistenza sindacale deve essere "effettiva", non meramente formale, e deve svolgersi in un ambiente neutro, al riparo da possibili condizionamenti.
La questione della responsabilità del sindacato in questi casi è delicata.
Quando il sindacalista accetta di prestare assistenza in sede aziendale, violando questo principio di neutralità, e sottoscrive un accordo che viene poi invalidato, potrebbe configurarsi una responsabilità per inadempimento della funzione di tutela assegnatagli dalla legge?
La domanda non è peregrina, soprattutto quando il costo dell'assistenza è sostenuto dall'azienda.
La risposta richiede di bilanciare la libertà sindacale garantita dall'art. 39 Cost. con i doveri di tutela effettiva del lavoratore. Il sindacalista che accetta di prestare assistenza in un contesto potenzialmente coercitivo come la sede aziendale potrebbe essere chiamato a rispondere per non aver garantito quell'ambiente neutro e quella assistenza effettiva che la legge richiede per la validità della conciliazione.
Avv.to Roberto Finocchiaro
22/05/2025
Con l'ordinanza n. 9831/2025, la Cassazione torna sul delicato tema del rapporto tra periodo di comporto e fruizione delle ferie, chiarendo i limiti del diritto del lavoratore di convertire l'assenza per malattia in ferie per evitare il licenziamento.
Il lavoratore assente per malattia ha facoltà di richiedere la fruizione delle ferie maturate per sospendere il decorso del periodo di comporto. Tuttavia, questa facoltà *non si traduce in un diritto* incondizionato, dovendo essere bilanciata con le esigenze organizzative del datore di lavoro.
Il datore di lavoro, nell'esercizio del potere ex art. 2109 c.c., *può legittimamente negare* la conversione dell'assenza per malattia in ferie in presenza di concrete ed effettive ragioni ostative, che devono essere adeguatamente motivate.
La Cassazione precisa che l'obbligo del datore di valutare la richiesta di ferie non è configurabile quando:
- il lavoratore può beneficiare di altri strumenti previsti dalla legge o dalla contrattazione collettiva per evitare il licenziamento
- in particolare, quando il CCNL prevede la possibilità di collocamento in aspettativa non retribuita.
Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto legittimo il rifiuto del datore di lavoro poiché:
1. La lavoratrice aveva presentato la richiesta di ferie quando non era in malattia
2. Non l'aveva presentata quando invece era *effettivamente malata*.
3. Il CCNL prevedeva strumenti alternativi (*aspettativa*) per evitare il superamento del comporto.
Non esiste incompatibilità assoluta tra malattia e ferie.
- Il datore deve valutare con particolare attenzione la posizione del lavoratore esposto al rischio di perdita del posto
- Il diniego deve essere sorretto da ragioni concrete ed effettive
- La presenza di istituti alternativi (es. aspettativa) può giustificare il rifiuto delle ferie.
Avv.to Roberto Finocchiaro